L’emergenza Covid-19 viene considerata la più grande crisi che il sistema economico globale abbia mai affrontato negli ultimi 100 anni. Infatti, per la prima volta dalla Grande Depressione, sia le economie avanzate che quelle emergenti sono in recessione: le previsioni dell’International Monetary Fund stimano una riduzione del -8% per le economie sviluppate e del -3,0% per le economie emergenti e quelle in via di sviluppo.
Se da un lato l’emergenza in corso sta mettendo a dura prova gli equilibri in essere nel nostro Paese, dall’altro però ha anche accelerato l’effermarsi di nuovi paradigmi di business, portando le aziende ad intraprendere una nuova strada definibile “New-Normal“, ossia avere un atteggiamento anticipatorio nei confronti della nuova normalità in cui sia le aziende che i consumatori dovranno e si troveranno ad agire.
Ma su quali mix di attività ci si attende che verranno raggiunte queste nuove dimensioni di business:
► Digitalizzazione: le nuove tecnologie digitali saranno “order qualifier” per competere sul mercato rendendo possibile, nei nuovi contesti operativi, una maggiore efficienza operativa (soluzioni agile, ecc.) e garantendo un nuovo concetto commerciale, il quale dovrà allinearsi con le nuove tendenze di consumo e nuove abitudini di spesa dei consumatori.
► Dimensione e scala: il rafforzamento patrimoniale delle imprese e la crescita dimensionale, sono fattori critici per sostenere la competitività e la capacità di investire e innovare nel nuovo contesto. La dimensione media d’impresa e il giusto livello di capitalizzazione diventeranno elementi chiave per le imprese interessate a garantire solidità del proprio business nel medio-lungo termine. Fondamentale sarà guardare modelli di collaborazione e aggregazione tra imprese per acquisire scala e competere su mercati internazionali, attraverso operazioni di finanza straordinaria come M&A e Joint Venture, rafforzando il ruolo della filiera anche con azioni di patrimonializzazione dei partecipanti facilitate dalle aziende di maggiori dimensioni.
► Sostenibilità: protagonista del futuro di ogni azienda, il concetto di economia-ambiente-società diventerà trainante nella definizione della strategia aziendale. Secondo i dati ISTAT 2020, prima dell’emergenza, 1 azienda su 2, ritiene che la sostenibilità sia un fattore differenziante nel mercato e di vantaggio competitivo.
Su queste 3 direttrici, le PMI italiane, si troveranno a dover impostare le scelte strategiche, per rimanere competitive dovranno intervenire sul modello di business, adeguando le stategie in termini di crescita e sviluppo e come conseguenza rivedere il loro modello operativo.
Dati ISTAT rilevano che nel 2020, il 56% delle PMI crede di dover concentrare su una o più componenti della propria proposizione di business, agendo quindi sull’ampliamento/revisione del bacino Clienti, sull’offerta e sui canali di vendita utilizzati, sulle fasi di approvigionamento e produzione “supply chain”, al fine di incrementare il valore percepito dal mercato attraverso i prodotti/servizi, vediamo quindi come.
Il primo pilastro risulta di mettere in sicurezza i dipendenti e assicurare la continuità delle attività produttive, attraverso una organizzazione degli spazi più efficiente e snella (c.a. il 70% delle aziende dichiara di dover riorganizzare i propri spazi di lavoro). Ne deriva che, nonostante le aziende dichiarino che la digitalizzazione sia una delle loro priorità – il 90% la indica come uno dei principali driver di crescita futuri e principale elemento di vantaggio competitivo – il cambiamento che intendono perseguire nell’immediato post-Covid non parte quasi mai dalla sfera digitale.
Il secondo pilastro passa attraverso la capacità di internazionalizzazione, che negli ultimi anni è stata una delle principali direttrici di crescita per le PMI (seconda solo all’aumento della produttività e dell’efficienza operativa). Questo dato è confermato in Italia anche dalla forte crescita dell’export delle PMI nazionali, aumentato tra il 2014 e il 2018 a un tasso annuo di crescita composto del +2,5%, e arrivando a toccare volumi di più di 200 Mld€20 (dati Eurostat).
La propensione ad affacciarsi verso mercati esteri aumenta al crescere della dimensione aziendale, diventando per le PMI occupate in alcuni settori specifici (i.e. commercio al dettaglio e all’ingrosso e costruzioni) il primo driver di ripresa del business nel post-Covid. Infatti, per 7 aziende su 10 operanti nell’industria edile, i mercati esteri sono la prima strategia da mettere a terra per assicurare la piena ripresa del business.
Ne deriva quindi un rafforzamento dei bisogni prioritari delle PMI che approcciano per la prima volta i mercati esteri:
► Conoscere il mercato: studiare un piano di ingresso progressivo per comprendere il mercato estero e le sue specificità a 360° (e.g. requisiti regolamentari, legislativi).
► Individuare i giusti partner locali : ricercare possibili controparti locali con cui attivare primi contatti per lo sviluppo di relazioni commerciali.
► Rafforzare la governance e i sistemi di reporting: gestire in modo efficiente le attività internazionali assicurando sempre un presidio sull’attività svolta in Italia anche quando la proprietà e la direzione è impegnata all’estero nello sviluppo del nuovo business.
► Avere le giuste competenze: acquisire nuove capabilities/ skill manageriali dall’esterno per “contaminare“ la propria operatività.
► Essere “pronti” a competere nel nuovo mercato: investire nella formazione della propria azienda per sviluppare skill necessarie.
Il terzo pilastro considerato cruciale nelle PMI per uscire da questa fase, è che per essere resilienti e reagire agli shock è fondamentale rafforzare la componente patrimoniale. Se la liquidità aziendale consente un sostentamento alle imprese per gestire le necessità operative e di cassa imminenti, il sottostante per garantire una crescita sostenibile non può che essere la componente patrimoniale. Avere la giusta dimensione è fattore chiave per colmare i gap di produttività delle nostre PMI e assicurare il pieno recuperò dell’efficienza.
A conferma di questo trend, con più del 90% delle PMI che vede la solidità patrimoniale come fattore chiave per garantire la stabilità al business e la competitività nel medio-lungo termine. Come farlo, è sicuramente un tema più discusso: da un lato le aziende che si concentrano sulla riduzione dell’esposizione verso terzi e sul consolidamento dell’indebitamento o la generazione della liquidità, dall’altro assistiamo a interventi più strutturali (e.g. alleanze strategiche, JVs, M&A).
Conferme su questi aspetti arrivano anche dall’AD del Fondo Strategico Italiano (Fsi) “la crisi innescata dalla pandemia di Covid 19 potrebbe essere un drammatico catalizzatore di operazioni di integrazione che facciano crescere dimensionalmente i brand italiani, soprattutto quelli medio-piccoli” ha spiegato, nel recente evento al Milano Fashion Global Summit.
Secondo il nostro parere, unendo il concetto di internazionalizzazione ed il ricorso all’M&A, si può accelerare l’ingresso sui mercati internazionali delle PMI. Si osserva da recenti studi, che le aziende che si internazionalizzano tramite acquisizioni hanno tassi di crescita più elevati e un livello di creazione di valore più elevato, rispetto a chi intraprende questi percorsi solo tramite una crescita organica. I percorsi di internazionalizzazione intrapresi a partire dall’inizio degli anni 2000 dalle PMI dimostrano che anche aziende di taglia media possono fare acquisizioni all’estero di successo se si segue un approccio strutturato e sistematico. Chiaramente ci sono alcune regole da seguire:
► Approccio strategico alle acquisizioni; vanno creati team con competenze dedicate e specialistiche.
► Grandi capacità manageriali per gestire il processo di post acquisizione.
► Integrazione di culture diverse per creare valore senza provocare reazioni di rigetto.
Non esiste una “formula magica” valida per tutti e dipende ovviamente dal grado di preparazione dell’azienda e del management ma queste regole possono rappresentare una bussola per orientare in modo corretto questi investimenti.
Finora le aziende italiane hanno fatto acquisizioni soprattutto nei paesi europei, riteniamo tuttavia che sia necessario potenziare la presenza delle imprese italiane soprattutto sui mercati asiatici dove la domanda di prodotti e servizi italiani è molto elevata. Va detto che proprio le economie asiatiche sono quelle che stanno ripartendo più velocemente e che sembrano più vicine a uscire dal tunnel della pandemia.
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